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Samantha Casella: “Santa Guerra, la mia porta d’ingresso per nuovi traguardi”

Regista sensibile e raffinata, Samantha Casella – dopo essersi fatta le ossa dietro la macchina da presa scrivendo e dirigendo corti e documentari – ha esordito con il suo primo lungometraggio Santa Guerra, accolto con grande calore durante l’ultima Mostra internazionale del Cinema di Venezia dove è stato presentato in anteprima mondiale nel corso di un evento speciale.

Un cast tutto al femminile – che vede la presenza, tra gli altri, di Eugenia CostantiniEmma QuartulloEkaterina BuscemiSamantha CasellaIsabella TedescoSimona Lisi e la partecipazione straordinaria di Maria Grazia Cucinotta – per una storia intima ed introspettiva che vede come protagonista una donna che precipita in un luogo senza tempo, dove il suo subconscio cerca di elaborare il trauma che la schiaccia.

Samantha, il viaggio di “Santa Guerra” – iniziato a Venezia 79 – ti sta dando grandi soddisfazioni. Te lo aspettavi?

Ho sempre creduto nel mio film e ho lavorato molto duramente, però sono consapevole che l’equazione impegno-risultati non è mai matematica o tanto meno scontata. Per questo, sotto tanti punti di vista il viaggio di “Santa Guerra” ha superato le più rosee aspettative.

Il film è ricco di immagini davvero coinvolgenti. Quali sono stati i tuoi riferimenti figurativi?

A livello di simbolismi ho fatto ricorso alla mia passione per la mitologia e l’arte in generale. Per quanto riguarda le atmosfere, sono presenti alcuni omaggi a due miei grandi amori cinematografici: Ingmar Bergman e David Lynch. Si parla di due maestri, di livelli che considero irraggiungibili, ma lasciare una piccola traccia a loro collegata nel mio film d’esordio ha un grande valore per me.

Eugenia Costantini in “Santa Guerra”

Pensi ci sia una morale nel tuo film? Volevi che ci fosse oppure sei contraria all’idea?

Personalmente non mi ritengo in grado di imporre una morale. “Santa Guerra” è un viaggio nel subconscio di una donna, della sua coscienza tormentata, incapace di perdonarsi. Entro certi limiti, credo che ogni persona può vedere nel dilemma della protagonista un qualcosa di sé, di collegato a una propria esperienza di vita. Anche per questo motivo credo sia giusto che ognuno elabori il film in base alla sua sensibilità.

È stato difficile per te, giovane donna, realizzare il tuo primo lungometraggio?

Sinceramente penso che realizzare un film, soprattutto nel cinema indipendente, sia difficile tanto per una donna quanto che per un uomo. Considero “Santa Guerra” il punto di arrivo di un percorso partito da lontano che allo stesso tempo si è trasfigurato in un punto di partenza per quello che avverrà d’ora in poi. Sono molto esigente verso me stessa, sono la prima a non rendermi la vita facile.

Cosa hai pensato al primo giorno di set?

Ho pensato che quel primo giorno era stato possibile anche grazie a tante persone che avevano creduto in me, che mi avevano messa nelle condizioni che questo primo film prendesse vita.

Il momento più difficile?

Ce ne sono stati tanti: dalle limitazioni dovute al Covid, a tante scelte che ho dovuto fare, spesso a malincuore, in corso di riprese come ruoli tagliati, pagine di sceneggiatura stracciate… Nelle difficoltà voglio vedere sempre nuove opportunità e nuove sfide. Così, a distanza di tempo, penso che i momenti difficili sul set siano importanti come quelli che affrontiamo nella vita: ci aiutano a crescere, ad assumerci responsabilità.

Dopo “Santa Guerra”, cosa ti aspetta?

È iniziata la pre-produzione del mio secondo film. Le corde sono simili a quelle di “Santa Guerra” ma è una storia più narrativa che affronta un tema delicato: un abuso infantile che una donna continua a rivivere attraverso una relazione morbosa e alienante.

Guarda il trailer di “Santa Guerra”:

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